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LA NORMATIVA EMERGENZIALE E I DURC: TRA DECRETO CURA ITALIA, DECRETO RILANCIO E PROFILI DI ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE

Come noto l’anno in corso è stato caratterizzato dall’incessante susseguirsi di Decreti Legge volti a mitigare ed arginare gli effetti economici e sociali della crisi epidemiologica legata al Covid 19.

In questo panorama si inserisce anche il Decreto Legge n.18, noto come Cura Italia, il quale, in un’ottica di tutela ed agevolazione delle imprese, prevedeva, all’art. 103, comma 2, che “tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati, in scadenza tra il 31 gennaio e il 15 aprile 2020, conservano la loro validità fino al 15 giugno 2020″.

Tra questi, l’INPS aveva annoverato, fin dal messaggio n. 1374 del 25.3.2020, anche i DURC.

Tale previsione è stata successivamente ampliata in sede di conversione dell’art. 103, comma 2, ad opera della Legge n.27/2020, entrata in vigore il 30.04.2020, ha previsto che “tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati, compresi i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’articolo 15 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020, conservano la loro validità per i novanta giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza.”, dunque sino al 29 ottobre 2020.

Senonché, il DL n. 34/2020, c.d. Decreto Rilancio, entrato in vigore il 19.5.2020, all’art. 81, comma 1, rubricato “Modifiche all’articolo 103 in materia di sospensione dei termini nei procedimenti amministrativi ed effetti degli atti amministrativi in scadenza”, modificava in questo senso l’art. 103, c. 2, DL n. 18/2020 “Tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati, compresi i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’articolo 15 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020, conservano la loro validità per i novanta giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza, ad eccezione dei documenti unici di regolarità contributiva in scadenza tra il 31 gennaio 2020 ed il 15 aprile 2020, che conservano validità sino al 15 giugno 2020”.

La norma pareva quindi limitare la proroga accordata dalla conversione in legge dell’art. 103, comma 2, DL n. 18/2020.

Con riferimento a tale ultima modifica legislativa, l’INPS precisava, con messaggio n. 2103 del 21.05.2020, come “l’intervento normativo – di cui all’art. 81, DL n. 34/2020 – ha pertanto chiarito che i DURC restano esclusi dagli atti per i quali è stato disposto, in sede di conversione dalla legge n. 27/2020, l’ampliamento del periodo di scadenza e di quello riferito alla conservazione della validità dei medesimi”, così implicitamente ritenendo la norma retroattiva.

E tale interpretazione è stata successivamente confermata con il messaggio n. 2510 del 18.06.2020, nella quale, sulla base delle indicazioni di cui alla nota n. 6198, 15.06.2020, del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, l’Istituto Nazionale di Previdenza affermava che la modifica di cui all’art. 81, comma 1, DL n. 34/2020, dovesse considerarsi “alla stregua di norma di interpretazione autentica, che, come tale, è idonea a privare ab origine di effetti la previsione normativa dell’articolo 103, comma 2, del decreto-legge n. 18/2020, come modificata dalla legge di conversione n. 27/2020. Pertanto, la proroga di validità di cui all’articolo 103, comma 2, con riguardo ai Durc On Line, deve intendersi limitata ai soli Documenti aventi scadenza compresa tra il 31 gennaio 2020 e il 15 aprile 2020, che conservano la propria validità fino al 15 giugno 2020”.

Il rapido susseguirsi delle modifiche normative sopra menzionate, unitamente ai chiarimenti forniti dall’INPS ha avuto un grande impatto, specie tenuto conto dell’importanza che riveste il DURC.

E l’opzione ermeneutica fatta propria dall’INPS non convince sotto molteplici aspetti.

Innanzitutto, da un punto di vista formale, non risultava in alcun atto normativo o parlamentare che l’art. 81, comma 1, DL n. 34/2020, costituisse una norma di interpretazione autentica.

Depone in tal senso non solo la rubrica della norma in parola, ma anche il Disegno di Legge di Conversione del medesimo Decreto Rilancio, presentato alla Camera dei Deputati il 19 maggio 2020 e che, proprio con riferimento all’art. 81, così lo descrive: “Reca modifiche al comma 2 dell’articolo 103, prevedendo che i documenti unici di regolarità contributiva in scadenza tra il 31 gennaio 2020 ed il 15 aprile 2020 conservano validità sino al 15 giugno 2020”.

Inoltre, ancorché la Corte Costituzionale non abbia stilato un vademecum sulle caratteristiche che una legge debba avere onde poter essere definita di interpretazione autentica, occorre tener presente che sino ad oggi le norme di interpretazione autentica hanno quasi sempre esplicitato la propria natura; vuoi nel senso di indicare la dicitura “legge di interpretazione autentica” nella rubrica della norma stessa, ovvero indicando nel corpus che una certa disposizione, o certi termini, dovessero essere interpretati in un certo modo.

Ne consegue che l’art. 81 DL n. 34/2020 non poteva essere ritenuto norma di interpretazione autentica, ma norma innovativa applicabile per il futuro in conformità a quanto stabilito dall’art. 11 Preleggi.

Sotto diverso profilo, la giurisprudenza della Corte Costituzionale pur riconoscendo al legislatore la possibilità di emanare norme di interpretazione autentica aventi efficacia retroattiva, ha sempre ritenuto che detta retroattività dovesse essere giustificata dall’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse generale», ai sensi della CEDU (ex pluris sentenza n. 78 del 2012).

E, nel caso in esame, tale esigenza non è ravvisabile.

Inoltre, l’adozione di una norma di interpretazione autentica retroattiva non deve porsi in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti (ex pluris sentenze nn. 93 e 41 del 2011) e altri valori di civiltà giuridica, tra i quali sono ricompresi “il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento – il quale discende direttamente dall’art. 3, comma 1, Cost.; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario” (ex multis sentenze n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010).

E secondo la Corte Costituzionale, la norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica può dirsi ragionevole, e dunque costituzionalmente legittima, solo laddove si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato in essa già contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (si veda in questo senso sentenza n. 257 del 2011 e n. 15 del 2012).

Nel caso di specie, il testo dell’art. 103, c. 2, DL n. 18/2020, così come convertito con modificazioni dalla Legge n. 27/2020 era chiarissimo nel prorogare la validità di tutti i certificati, DURC inclusi, aventi scadenza tra il 31.01.2020 ed il 31.07.2020, sino al 90° giorno successivo alla fine dell’emergenza epidemiologica, cioè fino al 29.10.2020. Pertanto nessun altro significato era contenuto nella disposizione in parola e, pertanto, se si ritenesse che l’art. 81 DL n. 34/2020 abbia natura di legge di interpretazione autentica, la stessa sarebbe costituzionalmente illegittima.

Anche alla luce di tali considerazioni e di quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale, l’art. 81, comma 1, Dl n. 34/2020 non può considerarsi norma di interpretazione autentica.

Diversamente opinando, la norma paleserebbe dubbi sulla sua legittimità costituzionale.

Innanzitutto, parrebbe sussistere una violazione del principio di ragionevolezza e dell’art. 3, comma 1, Cost., così come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale summenzionata.

Infatti, l’art. 81 DL n. 34/2020 non si limiterebbe ad assegnare all’art. 103, c. 2, DL n. 18/2020, così come convertito dalla L. n. 27/2020, uno dei possibili significati in esso già ricompresi.

In secondo luogo, verrebbe leso il principio del legittimo affidamento posto a tutela della fiducia dei consociati nella permanenza nel tempo di una certa disciplina normativa.

Sul punto occorre considerare il tenore letterale dell’art. 103, comma 2, Dl n. 18/2020, così come convertito con modificazioni dalla L n. 27/2020 e dell’art. 81, comma 1, DL n. 34/2020.

Infatti, sulla base di tali elementi non poteva che ritenersi, da un lato, che tutti i certificati, compresi i DURC, con validità in scadenza tra il 31.01.2020 ed il 31.07.2020 fossero stati prorogati al 29.10.2020 e, dall’altro lato, che tale proroga non si applicasse ai soli DURC con validità in scadenza tra il 31.01.2020 ed il 15.04.2020, i quali veniva prorogati solamente sino al 15.06.2020.

E tale legittimo affidamento era stato rafforzato anche dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro – Direzione Centrale Coordinamento Giuridico, che con nota n. 160 del 03.06.2020, chiariva come l’art. 81 del DL n. 34/2020 avesse introdotto un’eccezione – esclusivamente per i documenti unici di regolarità contributiva in scadenza tra il 31 gennaio e il 15 aprile (i quali hanno conservato validità solo fino al 15.06.2020) – rispetto alla validità generale di “certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati”, in scadenza tra il 31.01.2020 e il 31.7.2020 che, restava fissata in novanta giorni successivi alla cessazione legale dello stato di emergenza.

Tuttavia, con il messaggio n. 2510 del 18.06.2020 l’INPS affermava che l’art. 81, DL n. 34/2020 poteva considerarsi alla “stregua di norma di interpretazione autentica, che come tale, è idonea a privare ab origine di effetti la previsione normativa dell’articolo 103, comma 2, del decreto-legge n. 18/2020, come modificata dalla legge di conversione n. 27/2020”.

 L’incertezza generata all’interno dell’ordinamento e la lesione del legittimo affidamento paiono quindi evidente, così rendendo l’art. 81, comma 1, DL n. 34/2020, costituzionalmente illegittimo.

Sotto diverso profilo, laddove fosse accolta l’interpretazione fatta propria dall’INPS, l’art. 81, comma1, DL n. 34/2020, introdurrebbe una disparità di trattamento, qualora si consideri il contesto di emergenza in cui sono stati emanati i Decreti n. 18 e 34. palesando così un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale.

Infatti, è evidente come i DURC con scadenza tra il 31.1.2020 ed il 15.4.2020 ricevano un trattamento favorevole, in quanto ex lege prorogati fino al 15.6.2020, mentre quelli in scadenza dal 16.4.2020 fino al 31.7.2020 non godrebbero di alcuna proroga, nonostante la permanenza del periodo emergenziale e nonostante tali DURC si riferiscano al periodo emergenziale più acuto.

Pertanto, qualora l’art. 81, comma 1, fosse considerato alla stregua di una norma di norma di interpretazione autentica, situazioni uguali sarebbero trattate in maniera differente, ed anzi, situazioni differenti, di maggiore difficoltà, sarebbero sottoposte ad una disciplina peggiore; ciò in palese violazione dell’art. 3 della Costituzione.

I profili di illegittimità costituzionale sopra delineati impongono quindi di ricercare, tra le possibili interpretazioni della norma in parola, quella costituzionalmente conforme, onde evitare una possibile declaratoria di incostituzionalità.

A tal fine, a prescindere dalla natura innovativa o interpretativa della disposizione in parola, l’unica interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 81, comma 1, DL n. 34/2020 risulta quella, già sopra ipotizzata, dell’esistenza di una doppia disciplina in forza della quale la validità dei DURC in scadenza tra il 31.01.2020 ed il 15.04.2020 sia prorogata sino al 15.06.2020, mentre la validità dei DURC con scadenza dal 16.04.2020 fino al 31.07.2020 sia prorogata fino al 29.10.2020.

Peraltro, tale opzione interpretativa sarebbe l’unica possibile anche si volesse considerare l’art. 81, comma 1, DL n. 34/2020, alla stregua di una norma di interpretazione autentica, così come affermato dall’INPS.

Analizzando le modifiche normative susseguitesi nel corso del periodo compreso tra il 17.03.2020, data in entrata in vigore del DL n.18/2020, e il 19.05.2020, data di entrata in vigore del DL n. 34/2020, l’art. 81, comma 1, parrebbe essere stata introdotto proprio al fine di risolvere delle problematicità insorte in seguito alla modificazione apportata all’art. 103, comma 2, in sede di conversione del Decreto Cura Italia.

Infatti, il DL n. 18/2020 aveva originariamente disposto la proroga sino al 15 giugno dei soli DURC in scadenza nel periodo compreso tra il 31.01.2020 ed il 15.04.2020.

Senonché, atteso che la L n. 27/2020 di conversione del DL Cura Italia è stata adotta il 29.04.2020 ed è entrata in vigore il 30.04.2020, i DURC scaduti tra il 15 aprile ed il 29 aprile rischiavano di non essere prorogati, nonostante il permanere del periodo emergenziale, in quanto, come è noto, le modifiche apportate in sede di conversione dei Decreti Legge in assenza di apposita previsione normativa, non hanno effetti retroattivi.

Pertanto, in relazione al periodo summenzionato sussisteva un vuoto normativo nonché un’evidente disparità di trattamento a seconda che i DURC scadessero tra il 16 ed il 28 aprile ovvero il 29.04.2020.

Nella prima ipotesi, infatti, alle verifiche sulla regolarità contributiva svolte tra il 17 ed il 29 aprile, l’INPS avrebbe applicato la disciplina prevista dalla versione originaria dell’art. 103, comma 2, DL n. 18/2020, che prevedeva la proroga al 15.06.2020 dei soli DURC in scadenza tra il 31 gennaio ed il 15 aprile.

Nella seconda ipotesi considerata, invece, le verifiche effettuate a partire dal 30.04.2020 avrebbero dovuto essere effettuate sulla base della più favorevole disciplina risultante dalla modifica apportata in sede di conversione all’art. 103, comma 2, DL n. 18/2020, la quale ha previsto, ma solo per il futuro, che la validità dei DURC in scadenza tra il 31.01.2020 ed il 31.07.2020 fosse prorogata fino al 29.10.2020.

Pertanto, solo laddove il Legislatore intendesse colmare il vuoto normativo derivante dalla Legge di conversione del DL n. 18/2020, l’art. 81, comma 1, DL n. 34/2020, potrebbe essere considerata norma di interpretazione autentica. Ma anche in tal caso rimarrebbe fatto salvo il doppio regime di disciplina sopra illustrato.

E tale interpretazione risulterebbe l’unica costituzionalmente orientata possibile.

Diversamente opinando l’art. 81, comma 1, DL n. 34/2020, risulterebbe costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3, comma 1, Costituzione, non solo per i profili già sopra illustrati, ma anche nella parte in cui non preveda che la validità dei DURC con scadenza compresa tra il 16.04.2020 ed il 31.07.2020 sia prorogata sino al novantesimo giorno successivo alla fine del periodo di emergenza.

Peraltro, le problematiche testé esaminate verranno con buona probabilità risolte in sede di conversione del DL n. 34/2020, atteso che all’esito della votazione tenutasi in data 8.07.2020 alla Camera dei Deputati è stata recepita la proposta emendativa, approvata in sede di Commissione Referente, di abrogazione dell’art. 81, comma 1, DL n. 34/2020. Laddove ciò fosse confermato, pertanto, tutti DURC in scadenza tra il 31 gennaio ed il 31 luglio verranno prorogati sino al 29.10.2020.

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Criteri di valutazione sull’operatività della compensatio lucri cum damno

Cosa hanno detto le Sezioni Unite sulla compensatio lucri cum damno?

La compensatio lucri cum damno rappresenta lo strumento attraverso il quale i giudici, nel momento in cui sono chiamati a quantificare il risarcimento del danno, prendono in considerazione gli emolumenti che, in relazione al medesimo fatto dannoso, il danneggiato ha diritto a percepire, come ad esempio le indennità erogate dal’Inail o le pensioni erogate dall’Inps.

Ma come funziona questo strumento e, in particolare, quale rapporto sussiste tra il risarcimento del danno e l’indennità/pensione cui il danneggiato ha diritto?

A queste domande hanno dato risposta le Sezioni Unite in quattro diverse pronunce.

Sentenza n 12564/2018 – Risarcimento per uccisione del congiunto e pensione di reversibilità INPS: la vedova della vittima di un incidente stradale ottiene il risarcimento dei danni per la morte del congiunto e, al contempo, la pensione di reversibilità da parte dell’INPS.

Con ordinanza del 22.06.2017, n. 15536, veniva rimesso alle Sezioni Unite il seguente quesito: “se, in tema di danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui, dall’ammontare del risarcimento debba essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità percepita dal superstite in conseguenza della morte del congiunto”.

Sentenza n 12565/2018 – La strage di Ustica: la compagnia aerea Itavia S.p.a., proprietaria del velivolo abbattuto ottiene, in sede civile, condanna dei Ministeri dell’Interno, della Difesa e dei Trasporti al risarcimento dei danni subiti a seguito della distruzione di un proprio aereo da parte di un missile militare. Allo stesso tempo, la compagnia aerea incassa un indennizzo assicurativo per la distruzione del velivolo.

Con l’ordinanza del 22.06.2017, n. 15534, la Sez. III della Cassazione rimetteva alle Sezioni Unite la soluzione del contrasto giurisprudenziale formatosi sulla seguente questione: “se, nella liquidazione del danno da fatto illecito debba tenersi conto in detrazione del vantaggio sotto forma di indennizzo assicurativo che il danneggiato abbia comunque ottenuto in conseguenza di quel fatto”.

Sentenza n. 12566/2018 – Risarcimento da fatto illecito e rendita assicurativa INAIL: l’attore, in seguito a sinistro stradale, ottiene condanna al risarcimento dei danni subiti. Riconosciuto il fatto come infortunio in itinere, l’INAIL provvede a corrispondere al danneggiato una rendita da inabilità permanente causata dal suddetto sinistro stradale.

Con l’ordinanza del 22.06.2017, n. 15535, la Sez. III della Cassazione rimetteva alle Sezioni Unite la soluzione del contrasto giurisprudenziale formatosi sulla seguente questione: “se dall’ammontare del danno risarcibile si debba scomputare la rendita per l’inabilità permanente riconosciuta dall’INAIL a seguito di infortunio occorso al lavoratore durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro”.

Sentenza n. 12567/2018 – Risarcimento per colpa medica e indennità di accompagnamento INPS: un neonato, a causa di una grave ipossia subita a seguito del colposo ritardo dei sanitari nell’espletamento del parto, ottiene condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. Allo stesso tempo, in conseguenza dei danni biologici permanenti riportati, l’INPS riconosce al minore l’indennità di accompagnamento.

Con l’ordinanza del 22.06.2017, n. 15537, la Sez. III della Cassazione rimetteva alle Sezioni Unite la soluzione del contrasto giurisprudenziale formatosi in ordine alla seguente questione: “se nella liquidazione del danno patrimoniale relativo alle spese di assistenza che una persona invalida sarà costretta a sostenere vita natural durante, debba tenersi conto, in detrazione, della indennità di accompagnamento erogata dall’Istituto nazionale della previdenza sociale”.

Prima di esaminare le singole decisioni, va precisato come la Corte effettui alcune considerazioni preliminari di non trascurabile rilievo. Innanzitutto, la Corte afferma che la valutazione del danno deve essere globale, valutando, in ossequio a quanto prevede l’art. 1223 c.c., non solo gli svantaggi (danno emergente e lucro cessante) derivanti dal fatto dannoso, ma anche i vantaggi economici che a questo siano collegati secondo il principio della causalità giuridica.

Altra questione, sulla quale tuttavia la Suprema Corte non si pronuncia, riguarda la natura di principio generale della compensatio lucri cum damno ovvero di meccanismo operante, a determinate condizioni, sulla quantificazione del danno. Orbene, pur non pronunciandosi in maniera esplicita, la Cassazione parrebbe optare per questa seconda accezione.

E tale meccanismo, secondo le Sezioni Unite, la compensatio lucri cum damno, non opererebbe tutte le volte in cui il beneficio collaterale, costituito dall’indennità o dal vantaggio economico, sia causalmente connesso al fatto dannoso, perché altrimenti la questione verrebbe ridotta ad un semplice calcolo aritmetico.

La Suprema Corte riconosce pertanto come il criterio della causalità giuridica non sia sufficiente a far ritenere operante o no nei singoli casi la compensatio lucri cum damno, affermando contestualmente come sia necessario indagare la ragione che giustificano l’attribuzione patrimoniale a favore del danneggiato. L’operatività della compensatio lucri cum damno viene quindi subordinata alla verifica della funzione svolta dal beneficio collaterale, sicché, laddove questa sia la medesima dell’obbligazione risarcitoria, costituita dalla reintegrazione del danno subito, allora la compensatio lucri cum damno troverà applicazione.

Ciò premesso, nel primo dei casi summenzionati che le sono stati sottoposti, la Suprema Corte conclude per non operatività della compensatio lucri cum damno nei rapporti tra risarcimento del danno per morte del congiunto e pensione di reversibilità INPS, in quanto quest’ultima viene erogata con una finalità differente.

Nella pronuncia relativa al caso di Ustica, invece, constatato che l’indennizzo assicurativo assolve alla medesima funzione reintegrativa propria del risarcimento del danno, la Suprema Corte ha invece riconosciuto l’operatività della compensatio lucri cum damno.

Le Sezioni Unite pervengono alle medesime conclusioni anche con riferimento ai casi esaminati nelle sentenze n. 12566 e 12567. Infatti, sia la rendita INAIL per inabilità permanente che l’indennità di accompagnamento erogata dall’INPS mirano a ristorare il danneggiato dai danni subiti e, quindi, possono essere defalcate dal risarcimento del danno spettante al danneggiato.

L’operatività della compensatio viene inoltre collegata alla sussistenza di un ulteriore elemento: l’esistenza di meccanismi di riequilibro che consentano al terzo che eroga il beneficio collaterale di potersi rivalere sul danneggiato.

Si tratta di meccanismi di surroga, di rivalsa o di recupero già noti al nostro ordinamento giuridico.

Così, nel caso deciso nella sentenza n. 12565, sulla strage di Ustica, il meccanismo di riequilibrio si rinviene nell’art. 1916 c.c., che  consente la surroga dell’assicuratore nei limiti delle somme erogate a titolo di indennità assicurativa al danneggiato.

Stesse considerazioni vengono effettuate dalle Sezioni Unite nel caso relativo al rapporto tra risarcimento del danno e rendita INAIL. Anche in questo caso, il meccanismo di riequilibrio, in forza del quale l’ente erogante si surroga nei diritti di credito del danneggiato verso il danneggiante, viene fatto risalire all’ artt. 1916 c.c. ed anche all’art. 142, comma secondo, Codice delle assicurazioni private. Infine, con riferimento alla fattispecie di cui alla sentenza n. 12567, il meccanismo di riequilibrio è contenuto nella previsione di cui all’art. 41, l. n. 183/2010 che consente all’INPS di recuperare le pensioni, gli assegni, e le indennità corrisposti in conseguenza del fatto illecito di terzi fino a concorrenza del loro ammontare nei confronti del responsabile civile o della compagnia di assicurazione.

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Il nuovo articolo 2086 c.c.

La normativa in materia di crisi d’impresa a partire dal 2020 subirà importanti modificazioni per effetto di quanto previsto dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), di cui d.lgs. n. 14/2019. Tuttavia, alcune novità sono entrate in vigore già quest’anno.
Tra queste figura l’art. 375, entrato in vigore il 16 marzo 2019, il quale, andando a modificare l’art. 2086 c.c., influisce sulle norme che regolano il funzionamento fisiologico delle imprese.
Le modifiche apportate dalla disposizione summenzionata hanno inciso sia sulla rubrica dell’art. 2086 c.c. (in precedenza “Direzione e gerarchia nell’impresa” ora “Gestione d’impresa”), sia sul contenuto della norma.
Alla disposizione codiscistica, infatti, è stato aggiunto un secondo comma, il quale impegna l’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva a prevedere dei meccanismi in grado di rilevare in maniera tempestiva una situazione di crisi dell’impresa e di perdita della continuità aziendale. In particolare, il nuovo art. 2086, comma 2, c.c., richiede all’imprenditore di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile che sia adeguato alla natura ed alle dimensioni dell’impresa e che consenta di rilevare situazioni di difficoltà dell’azienda; e ciò nell’ottica di consentire all’imprenditore, di ricorrere agli strumenti previsti dall’ordinamento per superare tali situazioni (addirittura, l’imprenditore sarebbe destinatario di un vero e proprio obbligo in questo senso).
E la previsione di cui all’art. 2086, comma 2, c.c. è stata estesa anche agli altri tipi societari disciplinati dal Codice Civile. L’art. 377 del d.lgs. n. 14/2019, infatti, modificando gli artt. 2257, 2380 bis, 2409 nonies e 2475 c.c. (che peraltro estende alle S.r.l. quanto previsto dell’art. 2381 c.c.,), ne ha ampliato l’ambito di applicabilità ben oltre la collocazione dell’art. 2086 c.c..
Per quanto riguarda la configurazione dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile sopracitato, un importanza centrale avranno gli indicatori di crisi, previsti dall’art. 13 del d.lgs. n. 14/2019. Tali indici, da individuarsi con riferimento ad ogni tipologia di attività economica prevista dalle classificazioni dell’ISTAT, verranno elaborati ed aggiornati con cadenza triennale dal CNDCEC ed approvati dal Ministero dello Sviluppo Economico. Da tali indici, peraltro, le imprese avranno la possibilità di discostarsi dandone specifica motivazione nella nota integrativa del bilancio di esercizio, in cui dovranno essere indicati gli indicatori di crisi alternativi cui fare riferimento, muniti di apposita attestazione di adeguatezza rilasciata da un professionista da allegare alla nota integrativa al bilancio di esercizio.
Infine occorre rilevare come specifici indicatori di crisi dovranno essere individuati per alcune categorie particolari di imprese: Start-Up e PMI innovative, società in liquidazione e imprese costituite da meno di due anni.
Alla luce dei brevi cenni svolti in merito alle modificazioni intervenute a partire dal 16 marzo 2019, in relazione all’art. 2086 c.c. si evidenzia un cambiamento dal punto di vista della governance aziendale e della posizione dell’imprenditore. Da un lato, l’impresa dovrà essere strutturata e organizzata in maniera tale da poter rilevare situazioni di crisi e problemi di continuità aziendale e, dall’altro lato, la responsabilità civile, e forse anche penale, dell’imprenditore è destinata nuovamente ad aumentare.

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ESTINZIONE ANTICIPATA FINANZIAMENTO E RIMBORSI

Alla stipula di un contratto di finanziamento vengono versate somme a titolo di commissioni bancarie e finanziarie o a copertura di un premio assicurativo. Queste voci, in caso di estinzione anticipata del finanziamento devono essere rimborsate dall’istituto di credito in proporzione al periodo non goduto.

Qualora vi sia una clausola che imponga che la polizza collegata al finanziamento resti in vigore anche dopo l’adempimento anticipato dell’obbligazione, questa è nulla e le somme anticipate dovranno essere proporzionalmente restituite.

Stante la poca chiarezza dei contratti ove spesso non viene indicato chiaramente quali siano le spese ripetibili e quali no e quindi suscettibili di restituzione parziale in caso di estinzione anticipata, è intervenuto, a tutela del consumatore, in diverse occasioni l’Arbitro Bancario e Finanziario (ABF) che ha statuito il principio sopra indicato.

Qualora il consumatore non abbia sollevato eccezioni al momento dell’estinzione e si sia accorto successivamente che il rimborso dato dalla banca è nullo o inferiore alle spettanze, potrà farlo successivamente inviando un reclamo all’istituto di credito che ha 30 giorni di tempo per rispondere, trascorsi i quali si potrà ricorrere all’ABF con un costo di 20 euro, evitando così i tempi e i costi di una procedura dinnanzi alla giustizia ordinaria.

Riportiamo un esempio in numeri: Tizio stipulava ad agosto 2010 contratto di finanziamento per un importo di euro 34.080,00 con durata 120 mesi. Il contratto veniva estinto anticipatamente a luglio del 2014 per un importo di euro 18.588,62. E’ evidente che Tizio ha usufruito dei servigi dell’istituto di credito solo per 48 mesi anziché per 120 come previsto da contratto. E’ anche evidente che la banca avrebbe dovuto restituire quanto anticipato dal cliente per il periodo di contratto non goduto ed invece risarciva una somma irrisoria, di circa € 200. Il calcolo corretto prevedeva, invece, un rimborso di € 2.904,67, di cui € 229,01 quali commissioni in favore della Banca, € 994,36 commissioni in favore dell’intermediario, € 1.639,84 per commissioni in favore dell’agente ed € 41,46 per l’assicurazione.

Pertanto se avete intenzione di estinguere un finanziamento (le stesse regole valgono per i mutui) o l’avete già estinto, controllate attentamente che l’istituto di credito vi risarcisca o vi abbia risarcito le somme anticipate e di cui non si è usufruito.

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Il pericolo di evizione di un bene immobile oggetto di contratto preliminare

Il timore di rivendica dell’immobile ovvero della sua soggezione a revocatoria fallimentare non consente all’acquirente l’esercizio delle facoltà dell’articolo 1481 c.c.

Con la sentenza n. 8571 del giorno 27 marzo 2019, la Suprema Corte di Cassazione è tornata a interrogarsi circa la possibilità per il promissario acquirente, parte di un contratto preliminare di compravendita, di avvalersi dei rimedi previsti dall’articolo 1481 del Codice Civile, nel caso in cui l’immobile oggetto del regolamento contrattuale possa costituire in futuro oggetto di rivendica da parte di un soggetto terzo.

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